Un’eremita nel traffico

Un’eremita nel traffico 960 1280 Libreria Muratori

Il Natale come momento di crisi esistenziale si avvicina a larghe falcate e in genere si manifesta alle prime cene aziendali di metà dicembre attraverso la formulazione di domande sul senso della vita ecc. Il Natale come momento commerciale si avvicina a bordo della solita slitta trainata da renne, a sinistra le brunevespe, a destra le donatecarrise. Nella mia piccola libreria invece si avvicina a piccoli passi, quest’anno tre piccoli passi nello smog e nella speranza che il Male si nebulizzi.
Il primo passettino si è svelato nel clergyman di Don Piero, passato a ordinarmi la consueta sfornata di Cinque Pani d’Orzo (il calendario che “dona luce e speranza tutti i giorni”) da regalare ai parrocchiani. In realtà Don Piero non ha parrocchiani, nel senso che è in pensione e in teoria sarebbe solo un adiuvante, ma la sua realtà aumentata di ultraottuagenario ultraattivo lo vede a distribuire benedizioni e gadget religiosi come se non ci fosse un domani. Con un certo spirito autolesionistico mi chiede se la gente legge ancora libri religiosi, e la mia più che democristiana risposta è sì, ma con la precisazione che, a parte il solito tentativo di bestseller bergogliesco, ad intrigare sono più le religioni orientali, la new age, quelle cose lì, insomma, e glielo dico con caustica complicità, così da non farlo sentire troppo giù, e infatti non ci resta nemmeno troppo male, anche perché conosce alla lettera i dolori della secolarizzazione. Don Piero mi saluta con la sicumera di chi sa che cos’è il channeling sin dai tempi della prima comunione.
Il giorno dopo il Natale si è avvicinato di un altro passettino con l’ingresso di un ragazzotto dal volto tirato, l’aria muscolare e gli occhi senza emozioni. Non ne sono sicuro, ma deve trattarsi del ragazzo pugile (ah, Candiani!), e stavolta non mi cerca manuali sullo Spider Drill bensì un libro di preghiere. Mi racconta la sua storia di Guerriero della Luce che ha sconfitto scimmie sulle spalle e altri animali strani, di quelli che ti scavano il cranio fino a piantarvi un vessillo proprio in mezzo all’amigdala, che dopo non senti più niente. Era a un passo dalla Fine, tanto è vero che come unica salvezza gli avevano intimato la Comunità. Lui non ci è andato, ha indossato il kimono lucente e si è fatto salvare da una chiesa Evangelica che adesso frequenta assiduamente. Non è difficile immaginarlo mentre Cristo in persona gli mette in mano la spada con cui separare il Bene dalle Dipendenze. Adesso fa lavoro di testimonianza e sullo smartphone mi fa vedere i cori che cantano la domenica mattina alla chiesa Evangelica. Provo una grandissima stima nei suoi confronti e glielo dico con un pizzico di commozione.
Il giorno dopo il Natale ha fatto il suo passettino decisivo e mi ha portato in libreria un’eremita. Occorre vi confessi tutta la mia ammirazione per ogni forma di romitaggio, ammirazione che si sarebbe tradotta in emulazione se un bel giorno non avessi letto Nelle foreste siberiane di Sylvain Tesson, la storia di un tentativo di vita eremitica fallito nella vodka. Seppur senza applicazione pratica, i fatti dicono che tutta la venerazione che a 15 anni nutrivo per le rockstar, oggi va ad eremiti, monaci e stiliti: in fondo anche loro fanno della ribellione una ragion di vita, ma invece di cantare, pregano. Cioè, un anacoreta gli fa una pippa a Jim Morrison (non è necessario che focalizziate la scena).
E il giorno di questo famoso passettino decisivo ho conosciuto Serafina, una vera eremita che per decine d’anni ha vissuto in un eremo sopra il lago insieme al fratello sacerdote. Purtroppo il Covid se l’è portato via, e lei è stata costretta a dare l’addio all’eremo e a scendere in paese. Dev’essere una cosa genetica perché, mentre lei mi racconta, la sorella fa incetta di libri sul monachesimo ortodosso. Serafina cerca invece libri di filocalia, in particolare su Sant’Isacco il Siro. Mi spiega che allevavano pecore. Che leggevano la bibbia nei boschi. Che scrivevano haiku. Mi chiede di indovinare come ha scoperto gli haiku, o meglio, chi glieli ha fatti scoprire. Vinco mille punti, rispondendo Jack Kerouac. Mi ordina quelli di Zanzotto, poi s’incupisce un po’, seppur con quel lieve sorriso che mai la abbandona. Il cuore del suo racconto è la ricerca di Dio, che lei non nomina nemmeno, ma si capisce che sta parlando di quello: mi dice che quando era in eremo faceva meno fatica a trovarlo. Adesso che è scesa, lo insegue a fatica.
È colpa degli uomini?, le domando. Sono loro, sì, mi risponde. Pur vivendo in mezzo a persone di fede, persone dabbene, persone senza maschere, connettersi con Dio è più arduo.
Serafina e la sorella escono dalla libreria lasciandomi addosso un blues tristolotto. Guardo la loro auto immettersi nel traffico e non posso fare a meno di immaginare la sofferenza di un’eremita nel traffico da compere natalizie.
Tra poco sarà Natale, ma ne usciremo migliori, soprattutto quelli con la spada, perché tutte le strade del mondo conducono al cuore del guerriero.

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