La sudata stagione dei testi scolastici volge al tramonto e l’autunno benedetto si porterà via le ultime vagonate de Il nuovo Amaldi e Il filo del pensiero. Considerazioni da librajo, oltre alle bestemmie? Nessuna, se non le risate per l’imbarazzante rincorsa degli editori ai titoli più accattivanti, titoli come Talent, che spaccia un palloso anno anglofono per roba alla De Filippi, o St@rt up, che fa credere allo studente (o al paparino?) che le ore di informatica del biennio apriranno al privè del Billionarie, o ancora Math Genius, che non me la sento nemmeno di commentare. Tutta la mia stima al sobrio Corso di economia ed estimo (anche per la congiunzione eufonica).
Che poi – the dark side of Harold Bloom – la scolastica estiva è anche OSSIGENO PER I CLASSICI. Già, perché alla generazione alpha i docenti delle medie-superiori rifilano ancora Alfieri e Beccaria. Per le vendite è un bene (e chi se li fila più, i classici? Il clasico non è Barca- Real?), per il senso delle cose… non so: sarebbe come fare yoga col respiratore.
Si sappia, una volta per tutte: la vendita di testi da canone – quelli beatificati e santificati come capolavori, da Goethe a Pirandello, da Sofocle a Calvino – stanno in piedi grazie alla scuola: non fosse per i libri di lettura estiva o mensile, per l’ora di narrativa di italiano, tutto ciò che abbiamo imparato a definire patrimonio letterario è praticamente morto. Patrimonio una cippa. La scuola è il FAI dei classici. Anni fa, quando Ricardo Piglia scriveva L’ultimo lettore, l’apocalisse era ben lungi, ma oggi l’apocalisse è on air. Le persone automunite che mettono piede in libreria per un classico sono una specie in via d’estinzione e difatti scatenano nel libraio qualcosa di simile alla visione dell’ippogrifo: “ma davvero lei NON sta acquistando Anna Karenina per suo figlio???” Non ha figli. “Ma davvero non è su prescrizione professorale che viene qui a prendere Shelley???” Odia i bambini.
Di fatto, questi lettori di classici sono dei veri giapponesi sull’isola deserta. È evidente che in loro si agita una curiosità, una mitologia, che risale al 900. Solo qualche bambino post 2000, al quale babbo e mamma hanno fatto una capa tanta con ‘sta storia dell’Odissea, entra in libreria chiedendo di Omero. È giusto fare una capa tanta? Anche la scuola deve continuare a farla?
Siamo di fronte a un epocale cambiamento di canone, roba da Concilio Vaticano II della letteratura: quanto adattarsi al mondo che evolve? Lasciare Pavese all’adorabile pensionato che vuole assaporare un po’ di nostalgia? Mettere un po’ di Baccalario nei cannoni degli adolescenti? (per disinnescarli? Per fargli fumare roba migliore?) Delfi è troppo lontana: domande senza risposta.
Nuovi classici, leggibili anche fra un paio di secoli, magari in googleglass, magari in forme ibride (pagina+videogioco+esperienza vissuta), devono albergare sul telomare in quel di Lignano in vece di Seneca? Forse sì, forse ciò che conta è che si legga purché si legga, che l’estate scorra via con una buona storia libresca, perché poi, a settembre, sul banco li aspetta Math Genius.