Il Giamba entra in libreria tutto raggiante e mi fa: “Allora: mi trovi diverso?” Io, ovviamente, immemore di tanto spiro, casco dalle nuvole. “In che senso?”. “Ma come? Non noti nulla?” Sinceramente no, sinceramente non noto nulla. E allora per un breve istante mette su una faccia affranta, ma la toglie in fretta e dopo un attimo torna raggiante e mi rinfresca la memoria: “Ho letto Omero! Iliade & Odissea! I classici! mi trovi diverso?” Scoppio a ridere. Di piacere puro. In questa libreria l’aura dei classici non smette di esercitare il suo fascino indiscreto: ancora una volta il Mito della Letteratura redivive fra noi, l’imperituro rito della Poesia “che cambia la vita” si celebra fra queste mura.
Nel frattempo il Premio Strega è andato alla casa editrice più prestigiosa del nostro paese. Peccato che il libro non si trovi. Sarà la crisi di governo? Cioè, riassumiamo: ogni anno gli editori italiani (o meglio: i due o tre gruppi che dispongono delle credenziali di accesso) fanno il diavolo a quattro (fatture su fatture (fattucchieresche)) per accaparrarsi l’unica fiche valida al tavolo verde del mercato librario, fiche che notoriamente rappresenta una piccola garanzia di vendita, una guarentigia al macero che solo un film con Brad Pitt assicurerebbe, e il fortunato e desiato libro non si trova. Cioè, le poche migliaia di copie che sono state stampate all’uscita del libro si sono esaurite in tempi pre-stregheschi, e quando il romanzo è entrato in dozzina, poi in cinquina, nessuno ha pensato di mandarlo in ristampa. Roba da matti, roba che Aldo Busi piomberebbe in Via Biancamano 2 con una scimitarra mietendo tutte le giugulari sotto tiro.
Qua bisogna chiedere aiuto a Giordano Bruno: se nello infinito Universo nihil risulta più imperscrutabile del business plan di Dio, quaggiù sulla terra nulla può lontanamente avvicinarsi all’indecifrabilità del disegno degli editori italiani. Paradossalmente, risulta più comprensibile l’insistenza su psicopompi e criminologi, la spregiudicatezza di certe fascette promozionali, la disinvoltura con cui si fa passare per letteratura il milionesimo giallo che non vi farà dormire la notte, l’instagrammabilità delle copertine e degli autori, tutto è pienamente comprensibile, perfino l’aver demandato alle agenzie letterarie l’incombenza di setacciare e incapsulare talenti (l’esternalizzazione non riguarda solo il mondo del calcio: piccoli minoraiola crescono anche nell’editoria), ma che il libro vincitore dello Strega non sia disponibile in libreria è semplicemente Mistero della Fede. Per quanto mi sforzi, non riesco a trovare uno straccio di motivazione. Perché buttare via un assegno in bianco? Vivessimo in Scandinavia, dove ci sono più lettori che larici, più librerie e biblioteche che pub, dove la media di lettura è simile a quella punti del City di Pep, dove non serve un decreto Franceschini per tenere aperte le librerie indipendenti, capirei, ma purtroppo viviamo in un paese dove leggere un libro equivale ad appiccicarsi l’etichetta di sfigato, nel paese dove Alessandro Manzoni a forza di rigirarsi nella tomba è diventato talmente forte che potrebbe sfidare Juri Chechi agli anelli. È tutto così misterioso che ci sarebbe veramente da auspicare un romanzo crossroad, sapete quelli in cui personaggi di serie diverse uniscono le forze contro il Male (il mio preferito rimane Dylan Dog insieme a Martyn Mystère), un bel trillerone con i più geniali detective della storia (Montalbano + Schiavone + Ricciardi, con la supervisione di Giordano Bruno) impegnati a risolvere il misterioso caso de La Siae sull’Orient Express.
Infatti, come spesso succede, indagando su un piccolo caso i super detective finirebbero per scoperchiare un vespasiano di dimensioni bibliche. Finirebbero per interessarsi al ben più succulento caso dei festival letterari. Recentemente mi è capitato di organizzarne uno. Per ogni libro presentato, pur con la presenza dell’autore e la garanzia che non sarebbero stati letti passi dal medesimo, il festival ha dovuto scucire dei bei soldini alla Società Italiana Autori ed Editori. Il quesito che Schiavone & Soci sollevano è: dove e a chi finiscono queste royalties? Ci si augura nelle tasche degli autori. Approfondendo la faccenda a Vigata, Montalbano scopre che ogni festival letterario italiano versa alla Siae una gabella ammontante al 10% del budget complessivo. Dieci per cento. E qua Schiavone butta fuori una delle sue sfuriate: in Italia i libri non si vendono, la gente non legge e i libri vanno al macero. La gente è troppo presa a scrollare lo smartphone per vedere cosa sta facendo il vicino di casa. Io organizzo un festival per promuovere e vendere libri. Faccio una fatica della madonna santissima per mettere in piedi il tutto, e il 10% del mio risibile budget va alla Società Italiana Autori Editori. Ma perché? io sto facendo i loro interessi. Un festival fa l’interesse di Autori ed Editori! Perché scucire al festival euro preziosi che non potranno essere utilizzati per renderlo migliore? Mi piacerebbe capire perché gli editori permettono una cosa simile. Mi piacerebbe capire perché sbattersi tanto.
Se il gran mondo del Capitale, unitosi in nozze con quello dell’Algoritmo, ha definitivamente soppresso il già vacillante Mito della Letteratura, perché sbattersi tanto acciocché gli esseri umani continuino a leggere libri? Perché continuiamo a darci da fare? È presto detto: non sarà la panacea, l’universalis remedium, l’illuminazione divina, ma se noi librai facciamo di tutto per mantenere viva una pratica intellettuale bimillenaria, è perché siamo convinti che l’uomo è diventato umano anche grazie al libro.
Il Giamba non si ferma mica: “Cosa leggo adesso?”
Mi gioco l’ultima carta: l’Eneide.
Dopo si vedrà.
