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I romanzieri hanno fame, i poeti sete

I romanzieri hanno fame, i poeti sete 509 768 Libreria Muratori

I poeti che vengono in libreria non sono famosi.
In realtà, dopo D’Annunzio, di poeti famosi non se ne sono più visti. Del resto i poeti non sanno che farsene della fama. La fama viene dalla fame, e i poeti non hanno fame: hanno sete (i romanzieri invece, hanno fame).
I poeti che vengono in libreria nemmeno sanno chi è Amanda S.C. Gorman, né che all’insediamento di Biden indossava un doppiopetto Prada giallo, né che è stata ospite al Superbowl, né che a rappresentarla è la stessa agenzia di Kate Moss. I poeti che vengono in libreria non hanno un agente: sanno che meno lettori hanno, più alta è la loro poesia. La poetessa di corte è la Metastasia dei giorni nostri (per la cronaca il vero nome di Metastasio era Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi), e i poeti che vengono in libreria postano a malapena una manciata di versi ogni tanto su fb, figuriamoci il superbowl… Junghianamente appartengono alla sempre più rara tipologia psicologica dell’introverso, laddove l’estroversione è ormai il marchio di fabbrica dell’umanità (chi ha forgiato lo stampino dell’estroverso? Il boom economico? La polaroid? Il 68? Canale 5? I social?): a che gli serve estrovertere quando ogni respiro della poesia amplia l’orizzonte? Cosa farsene dell’opzione narcisistica quando intorno a loro è tutto una cappella sistina? (consiglio di lettura: Quiet, il potere degli introversi in un mondo che non smette di parlare).
I poeti che vengono in libreria vivono in un mondo tutto loro, fatto e rifatto, abitato e governato, riveduto e corretto da poeti. Parlano solo di poesia, la poesia è il filtro etico, estetico, politico ed economico, e anche quando scivolano in una discussione sul meteo nel weekend o sul calcio senza spettatori, subito si riprendono e vanno a riparare nell’epistolario di Rilke. Niente come la poesia isola da tutto il resto: è una specie di vernice in grado di sbiancare tutto il resto.
I poeti che vengono in libreria si conoscono fra loro, perché, a forza di sbiancare tutto il resto e abitando in un’area geografica circoscritta, finiscono per vedersi solo tra loro. Hanno gusti raffinati, leggono parecchio e hanno il bagagliaio pieno di metonimie. Il mio preferito è un amante di Alvaro de Campos, o di Ricardo Reis, o di Alberto Caeiro, a seconda. Ha scritto che la sua anima è caduta dalle mani di una cameriera distratta. Meriterebbe un uditorio migliore? Probabilmente sì, ma se potesse scegliere si terrebbe stretto il suo barattolo di vernice.
Diceva Harold Bloom che il comune denominatore dei grandi poeti è l’apertura al demoniaco. I poeti che vengono in libreria non sono grandi poeti, e infatti hanno ali cherubiche. Diceva Platone che i poeti vanno condannati perché rappresentano un pericolo per lo stato ideale: dal momento che viviamo nello stato dis-ideale, non c’è pericolo: lunga vita ai poeti, lunghissima vita ai poeti che vengono in libreria.

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